Le proposte della legge sulla rigenerazione urbana

Cercherò di illustrare rapidamente la legge sulla rigenerazione urbana.
È una legge che si è modificata molto nel tempo.
Abbiamo cominciato il lavoro in Commissione Ambiente al Senato più di un anno e mezzo fa ed è un lavoro difficile, fatto di audizioni e di tentativi di comporre oggettivamente interessi diversi.
Siamo arrivati qualche mese fa con l’aiuto del Ministro Giovannini a risolvere molti dei nodi che sembravano irrisolvibili.
Oggi abbiamo un testo largamente condiviso dalle forze politiche e non solo dalla maggioranza.
Viene sollecitata l’approvazione di questa legge da molte delle parti sociali, da ANCE ai Comuni, alle Regioni che hanno contribuito a modificare e migliorare il testo.
In questo momento, però, siamo in un’impasse che dura da qualche mese perché la ragioneria dello Stato e il MEF si stanno ponendo in maniera molto negativa nei confronti di questo provvedimento e facciamo fatica a concludere un iter che, invece, sarebbe necessario concludere presto per poi consentire alla Camera dei Deputati di approvare il testo in tempi utili.
Il testo della legge sulla rigenerazione urbana, a mio parere, è molto avanzato.
La materia è complessa ma la legge contiene un’idea che non è solo il riuso delle aree dismesse o l’idea dell’abbattimento e ricostruzione di edifici degradati ma c’è l’idea di costruire un meccanismo di incentivi e anche di finanziamenti pubblici o modalità che consentano di intervenire sulle città, sulle comunità anche provando partendo da quartieri o realtà che vivono particolari problematicità o difficoltà, per arrivare a come rivedere la funzione di pezzi di città.
Nei prossimi anni, ad esempio, avremo in molte grandi realtà un problema legato al fatto che comunque con la pandemia e la digitalizzazione, cambierà il mondo del lavoro e probabilmente grandi quartieri costruiti attorno a grandi insediamenti di uffici e di terziario, compresa l’offerta commerciale e economica, probabilmente andranno ripensati perché molte di quelle realtà cambieranno. Non è una novità, infatti, che grandi società o grandi aziende stiano pensando di ridurre il numero delle persone che devono lavorare in ufficio a beneficio dello smart working.
Un altro esempio riguarda i grandi centri commerciali che hanno occupato pezzi interi delle periferie urbane moltiplicandosi e crescendo l’uno accanto all’altro ma che funzionano sempre meno e probabilmente ci sarà un problema di riutilizzare quel costruito, così come si dovrà ripensare gli spazi dei grandi insediamenti di cinema e delle multisale.
Tutto questo credo che vada pensato, realtà per realtà, immaginando nuove funzioni e nuove vocazioni delle città e anche in generale delle aree specifiche.
Quando si parla di rigenerazione urbana si parla di qualcosa di molto ambizioso perché dentro ci sta molto.
La rigenerazione urbana riguarda l’idea di ripensare e riprogettare le città guardando alle compatibilità ambientali e al consumo di suolo limitato (nella legge si dice “saldo zero” di consumo di suolo).
Inoltre, occorre pensare alla rigenerazione urbana guardando anche ai problemi sociali. Tra le finalità indicate, infatti, c’è la necessità di implementare l’edilizia residenziale pubblica o comunque l’offerta abitativa a costi contenuti.
C’è poi il tema della mobilità. Vanno riprogettati pezzi di città pensando ad una mobilità sostenibile, quindi, questo ragionamento si deve incrociare con i servizi legati alla mobilità e in generale ai servizi sociali perché molti interventi andranno fatti in luoghi in cui ci sono anche situazioni di degrado sociale oltre che urbano.
Dall’altra parte, c’è un problema di difesa dell’identità e della vocazione di altri pezzi di città.
La rigenerazione urbana, ad esempio, deve servire per evitare che Comuni importanti, come Venezia o altre città storiche, rischino la desertificazione e diventino soltanto luoghi in cui i servizi, le abitazioni e il costruito sia solo finalizzato al turismo, facendo venire meno l’attenzione ai residenti.
Gli obiettivi, quindi, sono le finalità descritte nella legge sulla rigenerazione urbana: consumo di suolo zero, intervenire per migliorare le città dal punto di vista idrogeologico, prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici puntando molto sulla sostenibilità ecologica, pensare - all’interno della rigenerazione urbana - alle aree verdi e al rimboschimento.
Questo è il quadro complessivo delle finalità di questa legge.
Il tema è costruire pezzi di città ragionando su una vocazione magari diversa dall’attuale ma soprattutto con l’idea di elevare la qualità della vita nelle città.
Rispetto all’edilizia residenziale pubblica, tutto questo tra le finalità comprende la partecipazione dei cittadini sia per la progettazione sia per la gestione dei programmi di rigenerazione urbana, quindi c’è un coinvolgimento dei cittadini anche rispetto al controllo.
Infine, c’è la finalità esplicita di fare tutto questo non soltanto utilizzando soldi pubblici: i progetti di rigenerazione urbana, infatti, devono essere capaci di attrarre investimenti privati.
La legge prevede tre soggetti istituzionali che definiscono le modalità.
Un soggetto è il Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane (CIPU) che il Ministro Giovannini ha voluto rilanciare qualche mese fa proprio pensando che potesse essere il soggetto che meglio potesse rispondere alla necessità di guidare i processi verso l’obiettivo di costruire un piano nazionale di rigenerazione urbana, promuovere l’utilizzo e l’armonizzazione dei finanziamenti pubblici, individuare gli interventi prioritari e individuare i programmi che devono essere sottoposti alla misurazione dell’impronta ecologica.
Sostanzialmente è un Comitato che definisce gli obiettivi e che deve svolgere una funzione di monitoraggio, verifica e valutazione degli interventi e questo è possibile, al di là dei soldi che saranno destinati direttamente alla rigenerazione urbana.
Un’altra funzione importante del CIPU è quella di attivare investitori nazionali ed esteri, anche del terzo settore per co-progettare e co-gestire i grandi progetti di rigenerazione urbana.
Il secondo player sono le Regioni. Una volta entrata in vigore la legge, le Regioni devono adeguare la loro normativa sulla materia, senza pensare di farne carta straccia ma anzi non smontando le istituzioni regionali pre-esistenti e tenendo tutti gli strumenti di rigenerazione urbana già varati.
Anche le Regioni devono avere una funzione rispetto all’individuazione delle priorità sulla base delle indicazioni che darà il CIPU.
Un tema importante che riguarda le Regioni è quello di stabilire incentivi e allocazioni di risorse, avendo un’idea progettuale.
Le Regioni possono fare molto dal punto di vista dell’armonizzazione degli interventi su aree vaste; fare un controllo più attento rispetto alla normalizzazione architettonica sui territori e altre funzioni più specifiche.
È evidente che quando parliamo di finalità legate all’edilizia residenziale pubblica, ad esempio, c’è un tema che riguarda la Regione.
Nella Legge parliamo di promozione di specifici programmi di rigenerazione urbana proprio nelle aree di edilizia residenziale pubblica per migliorare la situazione in quelle aree, per migliorare i servizi e anche in generale per migliorare l’offerta abitativa.
C’è poi un altro ruolo importante che possono avere le Regioni che è quello di aggregare le piccole proprietà immobiliari e il mondo della cooperazione e tutti coloro che possono contribuire a investire sui progetti che di volta in volta verranno costruiti e realizzati.
Il terzo soggetto sono i Comuni. I Comuni, con la nuova legge, avranno 12 mesi per individuare le aree su cui mettere in campo i progetti di rigenerazione urbana. Si tratta di definire i perimetri, di ragionare sui centri storici nell’accezione che abbiamo condiviso, cioè, consideriamo da preservare e valutare con molta attenzione tutto il costruito prima del catasto del 1929 mentre si può ragionare con maggior libertà anche nei centri storici su tutto il resto del costruito, ovviamente con tutte le misure per garantire che l’identità del centro storico e della città siano comunque preservati.
I Comuni perimetrano le aree, definiscono gli ambiti in cui mettere mano al progetto di rigenerazione urbana e fare di questi oggetto di interventi, sapendo che per questo sono previste risorse statali, regionali e comunali che si possono tradurre in incentivi urbanistici.
Nella legge, noi avevamo cercato di definire a livello nazionale una serie di meccanismi incentivanti soprattutto per il privato che si accollava la responsabilità di assumersi l’incarico di progetti di rigenerazione urbana ma la ragioneria dello Stato ha bocciato questa parte per cui il tutto resterà molto sulle spalle delle Regioni e dei Comuni.
È evidente che in tutto questo ci sono due temi.
Il progetto di rigenerazione urbana viene ritenuto di pubblica utilità e questo ha delle conseguenze rispetto alla possibilità di accelerare e facilitare gli interventi.
L’altro tema riguarda la progettazione e l’attuazione degli interventi.
Abbiamo inserito nella legge la possibilità di mettere in campo risorse qualificate per la progettazione degli interventi.
Abbiamo definito le commissioni e le competenze che ci devono essere: sostenibilità economica, sostenibilità ambientale, competenze socio-economiche oltre che ingegneristiche.
Ovviamente c’è l’interesse a far intervenire i privati e su questo dovremo ragionare, dopo la bocciatura della ragioneria dello Stato, sugli incentivi anche volumetrici.
Nella legge vengono chiariti anche gli elementi decisivi minimali che devono stare nella progettazione: le comunità energetiche, il raggiungimento della classificazione sismica più alta, la classificazione energetica più alta, la possibilità di stabilire luoghi per l’uso sociale e il recupero del tessuto produttivo e commerciale che deve essere compatibile con gli insediamenti e l’equilibrio insediativo.
In molti centri storici c’è anche il tema del commercio di vicinato che sta diventando molto serio. Poi c’è la questione dell’abbattimento delle barriere architettoniche, il consumo di suolo pari o inferiore a quello originario su cui si interviene.

Video dell’intervento» 

La legge sulla rigenerazione urbana non risolve tutti i problemi del Paese.
Alcuni problemi li stiamo affrontando in altre sedi.
Il PNRR non c’entra con la legge sulla rigenerazione urbana.
Stiamo pensando ad una norma che renda l’investimento pubblico dello Stato sul tema della rigenerazione urbana un investimento permanente vincolato ad un programma nazionale, che è alla base di questa legge.
Il CIPU deve proporre ogni anno al Governo un piano nazionale di rigenerazione urbana in quanto, se viene approvata la legge, ogni anno ci saranno ingenti risorse da mettere a disposizione dei progetti che vengono definiti sulla base di quella programmazione.
La rigenerazione urbana non è solo l’intervento sulle aree dismesse e ancora meno sulle aree industriali dismesse.
Nella legge si parla molto di riuso, cioè pezzi di città che sono già utilizzati magari anche abitati ma che sono degradati; luoghi in cui c’è un problema di commercio e di funzioni che si sono esaurite.
La legge sulla rigenerazione urbana serve ad avere soldi che altrimenti non ci sarebbero; serve ad avere una programmazione nazionale che dia indicazioni alle Regioni, che hanno competenza su queste materie; serve ad accelerare e semplificare perché, oltre al riconoscimento dell’interesse pubblico per tutte le questioni che riguardano i progetti approvati dai Comuni sulla rigenerazione urbana (cioè cose precise rispetto a ciò che c’è da fare), c’è la questione del cambio di destinazione d’uso e l’approvazione delle varianti dove servono.
Un progetto di rigenerazione urbana, infatti, una volta che viene approvato dal Comune è un atto urbanistico se è coerente con il piano regolatore del territorio mentre, se non è dentro a quel piano, viene riconosciuto subito come variante urbanistica.
Abbiamo provato a inserire molte cose nella legge.
La norma sui parcheggi è obsoleta e nella legge è previsto che si possa ridurre in maniera significativa l’onere per i parcheggi, a fronte di uno sforzo sulla mobilità sostenibile, sulle piste ciclabili, sullo sharing e anche sul trasporto pubblico.
Nella legge c’è scritto chiaramente anche che si possono abbassare in maniera significativa i tributi e poi ci sono altri incentivi che vengono dati.
Si può, quindi, creare la convenienza per ovviare al problema dei costi che non riescono a rientrare.
Avevamo previsto anche altro dal punto di vista fiscale ma abbiamo dovuto toglierlo. Ad esempio, ci sembrava una buona idea dire che gli appartamenti che restano vuoti per dieci o vent’anni è giusto che abbiano una tassazione di IMU più significativa rispetto alle altre seconde case, per incentivare a non lasciare appartamenti vuoti.

Video dell’intervento» 

Intervento svolto a una presentazione organizzata dal PD del Piemonte: Video dell’incontro» 

Pin It
© Franco Mirabelli
2018-2022