Casa dolce casa
Intervista pubblicata dal Centro Studi Berlin 89.
«Nel nostro Paese, ed anche qui a Milano, per molte famiglie, soprattutto con redditi medio bassi, è ancora difficile trovare casa a costi sostenibili. Non siamo di fronte ad una emergenza ma ad una questione che deve essere affrontata con politiche intelligenti ed innovative, che devono tenere conto di un quadro sociale e del mercato del lavoro che è profondamente cambiato nel corso degli anni».
«Nel nostro Paese, ed anche qui a Milano, per molte famiglie, soprattutto con redditi medio bassi, è ancora difficile trovare casa a costi sostenibili. Non siamo di fronte ad una emergenza ma ad una questione che deve essere affrontata con politiche intelligenti ed innovative, che devono tenere conto di un quadro sociale e del mercato del lavoro che è profondamente cambiato nel corso degli anni».
Lo racconta il senatore Franco Mirabelli, milanese, a margine di un incontro con associazioni, comitati e rappresentanti del Municipio 6.
«È cambiato il mondo. La mobilità del mercato del lavoro ha dato una forte accelerazione anche ai cambiamenti della domanda abitativa. Ci sono lavoratori che arrivano nelle città per un periodo determinato, ci sono gli studenti che necessitano di fermarsi il tempo di completare gli studi, ci sono persone che si trovano in situazioni di difficoltà economica in seguito alla perdita del posto di lavoro e di questo occorre tenere conto quanto si costruiscono le politiche abitative.»
«Il modello abitativo che abbiamo considerato fino a pochi anni fa in Italia era incentrato su un mercato del lavoro stabile e orientato all’acquisto dell’abitazione, perché tendenzialmente il lavoratore poteva contare su un contratto a tempo indeterminato e questo garantiva anche una stabilità abitativa.».
Senatore accennava al fatto che la crisi economica e la globalizzazione hanno cambiato le modalità dell’abitare, di conseguenza, come deve cambiare la politica abitativa?
Secondo un rapporto Istat, nel 2015, l’80% degli italiani viveva in una casa di proprietà. Oggi, però, quel sistema non regge più perché non risponde alle esigenze abitative attuali.
La crisi economica ha peggiorato il quadro: sono diminuiti i redditi dei cittadini e la conseguenza è stato un aumento del disagio abitativo. Di fatto, l’accesso alla casa è diventato difficile per chi ha perso il lavoro ma anche per lavoratori con reddito medio dove i mutui si sono rivelati un peso insostenibile per molte famiglie che, comunque, allo stesso tempo faticano anche a trovare alloggi in affitto.
La politica abitativa pubblica, di conseguenza, non può più essere finalizzata ad incentivare l’acquisto della casa ma deve costruire le opportunità affinché le persone possano trovare case in affitto a canoni calmierati, in quanto questa è una risposta più consona alla domanda della società di oggi. Questo non vuol dire escludere l’acquisto ma e soprattutto che il ruolo del pubblico deve essere altro.
Bisogna trovare un metodo per garantire l’accesso alle case a canone sociale a persone che ne hanno bisogno, unendo risorse pubbliche, private e incentivi per le realtà che lavorano nel settore.
Qual è più in generale la situazione italiana?
L'OCSE ha evidenziato come l'Italia abbia registrato negli anni della crisi uno dei maggiori aumenti delle disparità tra i Paesi industrializzati e come continuano ad ampliarsi, anche nei periodi più recenti, divari economici e sociali.
L'ISTAT ha calcolato 5 milioni di poveri nel 2017. L'8,4% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà e la metà si trova al Sud. Ed ha anche più volte evidenziato come le spese per la casa rappresentino uno dei capitoli principali delle uscite per le famiglie.
Punte di forte emergenza sono rappresentate dagli sfratti, in particolare per morosità, passati dalle percentuali irrisorie dei primi anni ’80 all'attuale 90% delle sentenze emesse.
Altri dati che possono chiarire la vasta entità del disagio sono rappresentati da 650.000 domande di edilizia pubblica inevase da Comuni e da ex Istituti autonomi case popolari (IACP); 4 milioni di giovani tra i 25 ed i 39 anni che risiedono ancora con la famiglia di origine; 3 milioni di lavoratori stranieri che vivono in affitto in coabitazione ed in condizioni di sovraffollamento.
Delle famiglie in locazione oltre il 70% ha un reddito inferiore ai 30.000 euro annui e vive in prevalenza nei grandi centri urbani, dove gli affitti sono più elevati.
Delle famiglie in proprietà il 20% (3,3 milioni) deve assolvere al pagamento di un mutuo e circa un terzo ha un valore immobiliare inferiore a quello per cui hanno chiesto il prestito. La svalorizzazione immobiliare causata dall'eccedenza di produzione è diventata un altro fattore di impoverimento.
L'Italia si distingue tra i Paesi europei più sviluppati per una spesa sociale destinata alla casa tra le più basse d'Europa (0,03% del PIL contro lo 0,6% nei Paesi dell'Unione europea), per una delle più basse quote di edilizia pubblica (il 4% del patrimonio abitativo ed un quinto del mercato dell'affitto), nonché per una minore dimensione del patrimonio in affitto privato, pilastro dell'offerta in molti Paesi.
Il problema abitativo risulta, quindi, un bisogno in gran parte insoddisfatto per una quota crescente di popolazione, un diritto la cui esigibilità riguarda una platea sempre più ampia. Ecco perché è indispensabile una risposta sociale, con politiche adeguate, orientate verso i segmenti di popolazione in maggiore difficoltà economica.
A che punto siamo in Italia con le politiche per la casa?
In Italia, per anni, c’è stata una grande distanza tra l’importanza che ha il tema della casa per la vita quotidiana di tante persone e la scarsa attenzione che la politica vi ha dedicato.
Il tema della casa dovrebbe assumere una nuova centralità per le amministrazioni, la politica e nelle scelte di Governo, anche perché la mancanza di una politica in grado di agire strutturalmente nel settore abitativo e la gestione delle emergenze esclusivamente con risposte sporadiche, con risorse scarse e senza interventi programmati, si sono rivelati insufficienti hanno finito per mettere in discussione il welfare abitativo e le politiche sociali della casa.
Solo nel 2014, è stata approvata la Legge n.80 del 23 maggio 2014 contenente la conversione del decreto n.47 relativo alle “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015” - di cui sono stato Relatore in Senato - all’interno del quale vi è il cosiddetto “Piano Casa”.
Si tratta di una legge importante sulle politiche per l’abitare che, seppur nata con l’intento di fronteggiare la grave emergenza abitativa delle famiglie impoverite dalla crisi o da situazioni lavorative e salariali svantaggiate, garantendo loro immediato sostegno economico o offrendo alloggi di edilizia residenziale pubblica e alloggi sociali, è andata anche oltre l’aspetto emergenziale. Con questa legge, si è provato a mettere in campo una politica pubblica sull’abitare per la prima volta dopo l’abolizione dei fondi Gescal e sono state introdotte una serie di innovazioni importanti, tra cui proprio quella di provare a cambiare verso alla tendenza italiana, andando ad inserire una serie di norme volte ad incentivare l’affitto e non l’acquisto della casa, oltre che l’introduzione di finanziamenti per aiutare le famiglie in difficoltà con il Fondo per la morosità incolpevole e il Fondo Sostegno Affitti e risorse per avviare la manutenzione di migliaia di appartamenti pubblici vuoti al fine di poterli assegnare.
Purtroppo l’attuale Governo ha scelto di non sostenere più alcune di queste misure, facendo venire meno risorse e incentivi.
Personalmente ho recentemente presentato in Senato un Disegno di Legge (A.S. 975) contenente misure per il sostegno e il rilancio delle politiche abitative di edilizia residenziale pubblica e sociale. L’intento è quello di costruire una legge organica per riorganizzare il settore e contribuire a delineare una possibile risposta al problema abitativo, tenendo conto delle esperienze che hanno funzionato in questi anni e degli aspetti da migliorare, esprimendosi anche sui princìpi a cui devono ispirarsi le legislazioni regionali, la determinazione dei canoni ed i beneficiari degli alloggi, gli operatori ed i soggetti gestori, le caratteristiche tecniche degli edifici e delle abitazioni.
Senatore qui a Milano il Sindaco, Beppe Sala, nel suo libro “Il secolo delle città” mette in luce come negli ultimi anni si sia accentuata la tendenza delle grandi città di accentrare tutto di sé e di come questo inevitabilmente comporti un allargamento dell’idea stessa di metropoli, dei suoi confini territoriali e da qui la necessità di avviare delle trasformazioni. Ma ad oggi la Città Metropolitana e le Municipalità decentrate stentano a decollare e i quartieri popolari e le periferie sono troppo spesso ancora luoghi di degrado e di abbandono, come si contrasta questa tendenza?
Da tempo ho ripreso a fare una serie di incontri nei quartieri delle periferie milanesi, per verificare le condizioni in cui continuano a vivere decine di migliaia di cittadini e capire come è possibile dare una mano dalle istituzioni per migliorare la situazione.
Sono stato nei quartieri delle case popolari ALER di Via Salomone, di Viale Ca’ Granda in zona Niguarda, di Via Gola, di San Siro, e poi nelle case comunali di Via Rizzoli, nel “bosco della droga” tra Rogoredo e Porto di Mare e nei luoghi difficili dello spaccio in Comasina.
In ogni quartiere ci sono comitati di cittadini che si dedicano con spirito di servizio e tanto del loro tempo a cercare di mettere in campo iniziative per migliorare situazioni difficili e rendere più vivibili le zone, strappandole al degrado e alla delinquenza, presentando denunce e sollecitando gli interventi delle istituzioni che non sempre ci sono o che sono troppo tardivi rispetto alle necessità.
Spesso sono queste persone e queste realtà associative a supplire l’assenza delle istituzioni in questi quartieri.
Un tema prioritario, nei quartieri di case popolari, spesso è quello della legalità: insicurezze e paure crescono quando si ha la sensazione di essere abbandonati dalle istituzioni e i vandalismi con cui si distruggono gli arredi urbani, sono il modo con cui i delinquenti segnano il territorio e tutto ciò spesso è legato al racket delle occupazioni abusive.
Tocca alle istituzioni intervenire per impedire le occupazioni, prevenirle, assegnare velocemente gli appartamenti vuoti, far rispettare le leggi.
Quando si hanno parti comuni dei condomini devastate, piene di masserizie, vetri rotti, cantine e box come zone franche in cui avviene di tutto si trasmette il senso di abbandono. Le situazioni migliorano con i blitz delle forze dell’ordine ma non è sufficiente e spesso chi abita in questi quartieri si sente insicuro, in una terra di nessuno dove crescono la paura e il senso di solitudine, soprattutto negli anziani.
Ci sono poi problemi strutturali degli immobili.
Molti palazzi hanno infiltrazioni, balconi pericolanti, tetti da rifare ma spesso gli interventi non vengono fatti per mancanza di risorse o vengono iniziati e poi abbandonati con tanto di ponteggi lasciati montati per il fallimento delle imprese che li avevano presi in carico.
E poi, in alcuni quartieri, c’è un problema di servizi: i collegamenti con i mezzi pubblici sono scarsi, i negozi sono distanti, difficilmente raggiungibili per chi non guida e spesso le persone si trovano in difficoltà anche per fare cose apparentemente semplici.
C’è bisogno di una maggior attenzione da parte delle istituzioni e soprattutto di una maggior tempestività negli interventi affinché si riesca a produrre davvero un cambiamento.
Il Comune di Milano ha già avviato molti progetti di trasformazione di alcuni territori e di recupero e riqualificazione anche di quartieri difficili, come ad esempio il Lorenteggio. È chiaro, però, che anche ALER deve assumersi le proprie responsabilità e intervenire nei caseggiati di sua competenza per garantire decoro, legalità e sicurezza ai cittadini che vi abitano.
Le politiche per la casa possono incidere sul benessere dei cittadini?
Ci sono questioni che indubbiamente incidono in maniera significativa sulla qualità urbana e sociale. È evidente che ci sono quartieri popolari che si trovano in una situazione di degrado inaccettabile.
Il tema della qualità dell’abitare e del benessere dei cittadini riguarda sostanzialmente su due versanti: il mix sociale degli abitanti e la riqualificazione degli edifici.
Per quanto riguarda il mix sociale, occorre cominciare a riragionare sulle assegnazioni delle case popolari e su progetti di housing sociale, facendo in modo che tengano insieme famiglie e ceti diversi per evitare di creare ghetti.
Sono poi urgenti interventi di sistemazione di gran parte del patrimonio pubblico su tutti i fronti.
Nelle case popolari, ad esempio, ci sono persone che pagano cifre irrisorie di affitto ma devono poi sostenere costi elevatissimi di spese per il riscaldamento perché non sono mai stati realizzati interventi per migliorare l’efficientamento energetico.
Ci sarebbe, poi, da fare una riflessione sui contratti di quartiere, pensati molti anni fa come una grande intuizione ma quello che si è prodotto è oggettivamente insufficiente. Dobbiamo, però, aver chiaro che, per quanto riguarda l’Edilizia Residenziale Pubblica, non esiste più il modello secondo cui si costruiscono grandi quartieri popolari con soldi pubblici.
Le politiche abitative non possono contare solo sui soldi pubblici, anche perché non ci sono, ma devono contare sul mettere insieme energie e risorse diverse pubbliche e private, compresa la cooperazione. Per migliorare la qualità della vita delle persone, ad esempio, è utile proseguire sulla strada che molte cooperative stanno già percorrendo, che è quella andare oltre la casa e assumersi la responsabilità di realizzare progetti di assistenza, servizi sociali, sanitari, culturali che diano accesso a opportunità, rilanciando anche la missione sociale che è propria del settore.
Fonte: Berlin 89
«È cambiato il mondo. La mobilità del mercato del lavoro ha dato una forte accelerazione anche ai cambiamenti della domanda abitativa. Ci sono lavoratori che arrivano nelle città per un periodo determinato, ci sono gli studenti che necessitano di fermarsi il tempo di completare gli studi, ci sono persone che si trovano in situazioni di difficoltà economica in seguito alla perdita del posto di lavoro e di questo occorre tenere conto quanto si costruiscono le politiche abitative.»
«Il modello abitativo che abbiamo considerato fino a pochi anni fa in Italia era incentrato su un mercato del lavoro stabile e orientato all’acquisto dell’abitazione, perché tendenzialmente il lavoratore poteva contare su un contratto a tempo indeterminato e questo garantiva anche una stabilità abitativa.».
Senatore accennava al fatto che la crisi economica e la globalizzazione hanno cambiato le modalità dell’abitare, di conseguenza, come deve cambiare la politica abitativa?
Secondo un rapporto Istat, nel 2015, l’80% degli italiani viveva in una casa di proprietà. Oggi, però, quel sistema non regge più perché non risponde alle esigenze abitative attuali.
La crisi economica ha peggiorato il quadro: sono diminuiti i redditi dei cittadini e la conseguenza è stato un aumento del disagio abitativo. Di fatto, l’accesso alla casa è diventato difficile per chi ha perso il lavoro ma anche per lavoratori con reddito medio dove i mutui si sono rivelati un peso insostenibile per molte famiglie che, comunque, allo stesso tempo faticano anche a trovare alloggi in affitto.
La politica abitativa pubblica, di conseguenza, non può più essere finalizzata ad incentivare l’acquisto della casa ma deve costruire le opportunità affinché le persone possano trovare case in affitto a canoni calmierati, in quanto questa è una risposta più consona alla domanda della società di oggi. Questo non vuol dire escludere l’acquisto ma e soprattutto che il ruolo del pubblico deve essere altro.
Bisogna trovare un metodo per garantire l’accesso alle case a canone sociale a persone che ne hanno bisogno, unendo risorse pubbliche, private e incentivi per le realtà che lavorano nel settore.
Qual è più in generale la situazione italiana?
L'OCSE ha evidenziato come l'Italia abbia registrato negli anni della crisi uno dei maggiori aumenti delle disparità tra i Paesi industrializzati e come continuano ad ampliarsi, anche nei periodi più recenti, divari economici e sociali.
L'ISTAT ha calcolato 5 milioni di poveri nel 2017. L'8,4% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà e la metà si trova al Sud. Ed ha anche più volte evidenziato come le spese per la casa rappresentino uno dei capitoli principali delle uscite per le famiglie.
Punte di forte emergenza sono rappresentate dagli sfratti, in particolare per morosità, passati dalle percentuali irrisorie dei primi anni ’80 all'attuale 90% delle sentenze emesse.
Altri dati che possono chiarire la vasta entità del disagio sono rappresentati da 650.000 domande di edilizia pubblica inevase da Comuni e da ex Istituti autonomi case popolari (IACP); 4 milioni di giovani tra i 25 ed i 39 anni che risiedono ancora con la famiglia di origine; 3 milioni di lavoratori stranieri che vivono in affitto in coabitazione ed in condizioni di sovraffollamento.
Delle famiglie in locazione oltre il 70% ha un reddito inferiore ai 30.000 euro annui e vive in prevalenza nei grandi centri urbani, dove gli affitti sono più elevati.
Delle famiglie in proprietà il 20% (3,3 milioni) deve assolvere al pagamento di un mutuo e circa un terzo ha un valore immobiliare inferiore a quello per cui hanno chiesto il prestito. La svalorizzazione immobiliare causata dall'eccedenza di produzione è diventata un altro fattore di impoverimento.
L'Italia si distingue tra i Paesi europei più sviluppati per una spesa sociale destinata alla casa tra le più basse d'Europa (0,03% del PIL contro lo 0,6% nei Paesi dell'Unione europea), per una delle più basse quote di edilizia pubblica (il 4% del patrimonio abitativo ed un quinto del mercato dell'affitto), nonché per una minore dimensione del patrimonio in affitto privato, pilastro dell'offerta in molti Paesi.
Il problema abitativo risulta, quindi, un bisogno in gran parte insoddisfatto per una quota crescente di popolazione, un diritto la cui esigibilità riguarda una platea sempre più ampia. Ecco perché è indispensabile una risposta sociale, con politiche adeguate, orientate verso i segmenti di popolazione in maggiore difficoltà economica.
A che punto siamo in Italia con le politiche per la casa?
In Italia, per anni, c’è stata una grande distanza tra l’importanza che ha il tema della casa per la vita quotidiana di tante persone e la scarsa attenzione che la politica vi ha dedicato.
Il tema della casa dovrebbe assumere una nuova centralità per le amministrazioni, la politica e nelle scelte di Governo, anche perché la mancanza di una politica in grado di agire strutturalmente nel settore abitativo e la gestione delle emergenze esclusivamente con risposte sporadiche, con risorse scarse e senza interventi programmati, si sono rivelati insufficienti hanno finito per mettere in discussione il welfare abitativo e le politiche sociali della casa.
Solo nel 2014, è stata approvata la Legge n.80 del 23 maggio 2014 contenente la conversione del decreto n.47 relativo alle “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015” - di cui sono stato Relatore in Senato - all’interno del quale vi è il cosiddetto “Piano Casa”.
Si tratta di una legge importante sulle politiche per l’abitare che, seppur nata con l’intento di fronteggiare la grave emergenza abitativa delle famiglie impoverite dalla crisi o da situazioni lavorative e salariali svantaggiate, garantendo loro immediato sostegno economico o offrendo alloggi di edilizia residenziale pubblica e alloggi sociali, è andata anche oltre l’aspetto emergenziale. Con questa legge, si è provato a mettere in campo una politica pubblica sull’abitare per la prima volta dopo l’abolizione dei fondi Gescal e sono state introdotte una serie di innovazioni importanti, tra cui proprio quella di provare a cambiare verso alla tendenza italiana, andando ad inserire una serie di norme volte ad incentivare l’affitto e non l’acquisto della casa, oltre che l’introduzione di finanziamenti per aiutare le famiglie in difficoltà con il Fondo per la morosità incolpevole e il Fondo Sostegno Affitti e risorse per avviare la manutenzione di migliaia di appartamenti pubblici vuoti al fine di poterli assegnare.
Purtroppo l’attuale Governo ha scelto di non sostenere più alcune di queste misure, facendo venire meno risorse e incentivi.
Personalmente ho recentemente presentato in Senato un Disegno di Legge (A.S. 975) contenente misure per il sostegno e il rilancio delle politiche abitative di edilizia residenziale pubblica e sociale. L’intento è quello di costruire una legge organica per riorganizzare il settore e contribuire a delineare una possibile risposta al problema abitativo, tenendo conto delle esperienze che hanno funzionato in questi anni e degli aspetti da migliorare, esprimendosi anche sui princìpi a cui devono ispirarsi le legislazioni regionali, la determinazione dei canoni ed i beneficiari degli alloggi, gli operatori ed i soggetti gestori, le caratteristiche tecniche degli edifici e delle abitazioni.
Senatore qui a Milano il Sindaco, Beppe Sala, nel suo libro “Il secolo delle città” mette in luce come negli ultimi anni si sia accentuata la tendenza delle grandi città di accentrare tutto di sé e di come questo inevitabilmente comporti un allargamento dell’idea stessa di metropoli, dei suoi confini territoriali e da qui la necessità di avviare delle trasformazioni. Ma ad oggi la Città Metropolitana e le Municipalità decentrate stentano a decollare e i quartieri popolari e le periferie sono troppo spesso ancora luoghi di degrado e di abbandono, come si contrasta questa tendenza?
Da tempo ho ripreso a fare una serie di incontri nei quartieri delle periferie milanesi, per verificare le condizioni in cui continuano a vivere decine di migliaia di cittadini e capire come è possibile dare una mano dalle istituzioni per migliorare la situazione.
Sono stato nei quartieri delle case popolari ALER di Via Salomone, di Viale Ca’ Granda in zona Niguarda, di Via Gola, di San Siro, e poi nelle case comunali di Via Rizzoli, nel “bosco della droga” tra Rogoredo e Porto di Mare e nei luoghi difficili dello spaccio in Comasina.
In ogni quartiere ci sono comitati di cittadini che si dedicano con spirito di servizio e tanto del loro tempo a cercare di mettere in campo iniziative per migliorare situazioni difficili e rendere più vivibili le zone, strappandole al degrado e alla delinquenza, presentando denunce e sollecitando gli interventi delle istituzioni che non sempre ci sono o che sono troppo tardivi rispetto alle necessità.
Spesso sono queste persone e queste realtà associative a supplire l’assenza delle istituzioni in questi quartieri.
Un tema prioritario, nei quartieri di case popolari, spesso è quello della legalità: insicurezze e paure crescono quando si ha la sensazione di essere abbandonati dalle istituzioni e i vandalismi con cui si distruggono gli arredi urbani, sono il modo con cui i delinquenti segnano il territorio e tutto ciò spesso è legato al racket delle occupazioni abusive.
Tocca alle istituzioni intervenire per impedire le occupazioni, prevenirle, assegnare velocemente gli appartamenti vuoti, far rispettare le leggi.
Quando si hanno parti comuni dei condomini devastate, piene di masserizie, vetri rotti, cantine e box come zone franche in cui avviene di tutto si trasmette il senso di abbandono. Le situazioni migliorano con i blitz delle forze dell’ordine ma non è sufficiente e spesso chi abita in questi quartieri si sente insicuro, in una terra di nessuno dove crescono la paura e il senso di solitudine, soprattutto negli anziani.
Ci sono poi problemi strutturali degli immobili.
Molti palazzi hanno infiltrazioni, balconi pericolanti, tetti da rifare ma spesso gli interventi non vengono fatti per mancanza di risorse o vengono iniziati e poi abbandonati con tanto di ponteggi lasciati montati per il fallimento delle imprese che li avevano presi in carico.
E poi, in alcuni quartieri, c’è un problema di servizi: i collegamenti con i mezzi pubblici sono scarsi, i negozi sono distanti, difficilmente raggiungibili per chi non guida e spesso le persone si trovano in difficoltà anche per fare cose apparentemente semplici.
C’è bisogno di una maggior attenzione da parte delle istituzioni e soprattutto di una maggior tempestività negli interventi affinché si riesca a produrre davvero un cambiamento.
Il Comune di Milano ha già avviato molti progetti di trasformazione di alcuni territori e di recupero e riqualificazione anche di quartieri difficili, come ad esempio il Lorenteggio. È chiaro, però, che anche ALER deve assumersi le proprie responsabilità e intervenire nei caseggiati di sua competenza per garantire decoro, legalità e sicurezza ai cittadini che vi abitano.
Le politiche per la casa possono incidere sul benessere dei cittadini?
Ci sono questioni che indubbiamente incidono in maniera significativa sulla qualità urbana e sociale. È evidente che ci sono quartieri popolari che si trovano in una situazione di degrado inaccettabile.
Il tema della qualità dell’abitare e del benessere dei cittadini riguarda sostanzialmente su due versanti: il mix sociale degli abitanti e la riqualificazione degli edifici.
Per quanto riguarda il mix sociale, occorre cominciare a riragionare sulle assegnazioni delle case popolari e su progetti di housing sociale, facendo in modo che tengano insieme famiglie e ceti diversi per evitare di creare ghetti.
Sono poi urgenti interventi di sistemazione di gran parte del patrimonio pubblico su tutti i fronti.
Nelle case popolari, ad esempio, ci sono persone che pagano cifre irrisorie di affitto ma devono poi sostenere costi elevatissimi di spese per il riscaldamento perché non sono mai stati realizzati interventi per migliorare l’efficientamento energetico.
Ci sarebbe, poi, da fare una riflessione sui contratti di quartiere, pensati molti anni fa come una grande intuizione ma quello che si è prodotto è oggettivamente insufficiente. Dobbiamo, però, aver chiaro che, per quanto riguarda l’Edilizia Residenziale Pubblica, non esiste più il modello secondo cui si costruiscono grandi quartieri popolari con soldi pubblici.
Le politiche abitative non possono contare solo sui soldi pubblici, anche perché non ci sono, ma devono contare sul mettere insieme energie e risorse diverse pubbliche e private, compresa la cooperazione. Per migliorare la qualità della vita delle persone, ad esempio, è utile proseguire sulla strada che molte cooperative stanno già percorrendo, che è quella andare oltre la casa e assumersi la responsabilità di realizzare progetti di assistenza, servizi sociali, sanitari, culturali che diano accesso a opportunità, rilanciando anche la missione sociale che è propria del settore.
Fonte: Berlin 89
Articolo ripreso anche da: Mi-Lorenteggio "Casa, Mirabelli: Serve una nuova politica sociale"